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Sergio Ramos, il lider maximo

29 Marzo 2021   Alessandro Rimi

La carriera di Sergio Ramos è stata, ed è tuttora, un aggiornamento continuo di record. Trofei, Real Madrid, Nazionale spagnola, goal, sanzioni disciplinari. Per essere sicuro di entrare nella storia del calcio, Ramos le ha provate tutte, riuscendo a imporsi tra i difensori più forti del nuovo millennio (probabilmente il migliore del decennio appena trascorso) e tra i calciatori più discussi. Da che parte vengano viste le sue statistiche, le opinioni cambiano. I suoi sostenitori lo ritengono uno dei più grandi interpreti del ruolo. I detrattori lo considerano semplicemente un buon giocatore, un po’ sopravvalutato, capitato nei contesti giusti al momento opportuno: non meritevole, insomma, di entrare nell’Olimpo di questo sport.

La realtà è che Sergio Ramos è il capitano per antonomasia, il vero leader dello spogliatoio di un Real Madrid tra i più vincenti della sua infinita epopea. E senza di lui, una guida che tutti i compagni vorrebbero avere, quella meravigliosa squadra dal talento incredibile, ma dagli equilibri fragili, sarebbe implosa diverse volte. Ecco spiegate l’importanza e la grandezza di Ramos. Un difensore che, quando le cose si mettono irrimediabilmente male, è il primo a immolarsi per provocare una reazione negli altri, con ammonizioni ed espulsioni solo in apparenza evitabili. Come se il messaggio che vuole far passare sia: “ora mi sacrifico io, ma dalla prossima partita pretendo una svolta”.

Figlio di Siviglia

Che Sergio Ramos fosse destinato a grandi responsabilità lo si intuisce dalla sua precocità. A 17 anni avviene l’esordio in Liga, mentre appena maggiorenne diventa titolare della difesa del Siviglia, squadra dalla profonda tradizione calcistica in Spagna. Un club che, più degli altri, insegna e professa l’appartenenza alla maglia. Questo valore, tuttavia, non è vincolato solo a quella dei Rojiblancos, ma è più universale, legittimo per qualunque colore si indossi. Tale concetto è perfettamente riassunto nella frase “ti amo anche se vinci”, talmente evocativa da aver impressionato anche un filosofo del calcio come Marcelo Bielsa. E giocare in uno stadio come il Ramon Sanchez-Pizjuan, tra i più caldi al mondo, aumenta la consapevolezza che la maglia va protetta come se fosse la cosa più preziosa mai posseduta.

La lezione è ben radicata nella mente di Sergio Ramos – nato a Camas, Comune della provincia di Siviglia – che a 10 anni entra nelle giovanili della più importante società dell’Andalusia. In breve tempo scala le gerarchie e, come ogni talento, si trasferisce nella grande piazza. Basta una stagione nella Primera Division per convincere il Real Madrid a sborsare ben 25 milioni di euro per quel ragazzino col capello lungo e dal viso candido.

A 19 anni diviene subito titolare e perno della difesa dei Galacticos, un mestiere che in quegli anni comportava più oneri che privilegi. La squadra poteva contare su fenomeni come Zidane, Ronaldo, Raul, Beckham, Roberto Carlos, ma era tanto bella quanto squilibrata, motivo per il quale la bacheca della prima stagione di Sergio Ramos alla Casa Blanca rimane vuota. Resta invece nella memoria di tutti la facilità con cui il giovane difensore si fa saltare da Ronaldinho, durante uno dei suoi deliri di onnipotenza, nello 0-3 del Clasico del novembre 2005. Qualsiasi altro giocatore non si sarebbe più ripreso da quell’umiliazione.

Rivoluzione Roja

Se i primi anni al Real Madrid sono in chiaroscuro (fino al 2013 tre campionati, una Copa del Rey e due Supercoppe Spagnole, ma un andamento negativo in Europa), in Nazionale è tutta un’altra storia. Ramos è insostituibile per il suo club e per la Spagna, venendo impiegato indistintamente da centrale e da terzino. Del resto, le sue caratteristiche si prestano alla duttilità. Sergio Ramos è potente e veloce, intelligente e tempestivo, bravo in marcatura e con la palla tra i piedi. E fa anche tanti goal. Potrebbe tranquillamente ricoprire 4-5 ruoli senza perdere in efficienza. L’esempio perfetto del difensore moderno.

In Nazionale, Ramos si dimostra un ingranaggio madrileno perfetto (insieme a Casillas e Xabi Alonso) da aggiungere al blocco Barcellona che a cavallo tra i due decenni è padrone assoluto dell’universo calcistico. Due Europei e un Mondiale, cinque anni di dominio nel gioco, ballato a ritmo di flamenco. Una volta giunto alla metà della sua carriera, Sergio Ramos si rende conto, però, che la Nazionale non basta più. È tempo di vincere tutto anche col suo club e spezzare l’egemonia di Messi, Xavi e Iniesta.

Fino alla Decima e oltre

Il leader della difesa madrilena è l’uomo del destino, ancor più di Cristiano Ronaldo, Benzema, Modric o Bale. Nel 2013, sulla panchina delle Merengues si siede Carlo Ancelotti, col preciso compito di conquistare la decima Champions League. Puntualmente il Real arriva in finale, ritrovandosi di fronte i cugini dell’Atletico Madrid. La partita è maschia, tosta, proprio come la vuole Simeone. Godin la sblocca in mischia nel primo tempo e il match si trascina sui binari biancorossi. Ci si aspetta un lampo dei fenomeni blancos, ma fino al 93esimo succede poco o nulla. E proprio quando sembra finita, su azione da corner, Sergio Ramos svetta su tutti e la infila all’angolino, portando la partita ai supplementari, dove il Real dilagherà.

Quel goal è l’inizio di tutto. Perché, da quel successo, il Real Madrid vivrà un lustro di dominio che, nei trofei vinti, ricorda quello della Spagna di pochi anni prima. Nel 2015 Casillas lascia le merengues e, per selezione naturale, Ramos indossa la fascia di capitano, anche se già da tempo era il vero leader dello spogliatoio madrileno. E arriva anche un’altra investitura importante, da parte del suo mister, Carlo Ancelotti, che per lui proverà una vera e propria venerazione, arrivando a paragonarlo a Paolo Maldini.

L’uomo dei record

Nel frattempo, il teenager col viso pulito ha fatto spazio all’uomo forte e di carattere, a volte anche un po’ troppo rude con compagni e avversari. Sergio Ramos è attualmente, insieme a Marcelo, il secondo giocatore più vincente della storia del Real Madrid, a un solo trofeo a Francisco Gento. Nel 2019 è diventato il giocatore con più presenze nella Spagna, mentre nell’anno successivo quello con più apparizioni tra tutte le Nazionali europee.

Il capitano di Spagna e Real è noto anche per i suoi record negativi. È il giocatore con più cartellini gialli e rossi ricevuti nella storia della Liga, ma vanta anche lo stesso primato per quanto riguarda i cinque maggiori campionati europei e la Champions League (quest’ultimo condiviso con Davids e Ibrahimovic). Ovviamente, è colui che ha subito più espulsioni nella storia del Real Madrid e più ammonizioni in quella della Nazionale spagnola.

Tutte queste sanzioni disciplinari, oltre ad alcuni episodi al limite della correttezza, hanno contribuito a creare attorno a lui un’aura negativa che spesso influenza il giudizio sul giocatore. La verità è che Ramos, anche in virtù degli oltre 100 goal fatti in carriera (medie realizzative da centrocampista offensivo), è uno di quei giocatori che segnano un’epoca, nel bene e nel male. E alla bellezza di 35 anni, la sua era non sembra voler ancora terminare.

Andrea Bonafede

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